27 agosto 2012

Manoscritto trovato a Forlì

Per strada non c'è nessuno. La giornata è calda e immobile e i vestiti mi si fondono addosso; non sono certo uscito per una passeggiata, d'altronde, ché sarebbe stata un'idea balzana, oggi, ma ho bisogno di fare compere.
Il cielo è azzurrissimo, assolutamente privo di quella foschia tipica delle giornate afose, e ogni cosa sfavilla in piena luce: in una giornata simile, io credo, non possono esistere inganni.
Mentre cammino con passo piuttosto rapido, vedo un foglio in terra; giace fra luce e ombra, al limitare della stretta e benedetta fascia di marciapiede ombreggiata dagli alberi. Mi avvicino, con l'idea di prendere il foglio con due dita e buttarlo via, infastidito come sono dalla sporcizia in strada: ma noto, chinandomi, che il foglio non è lurido né calpestato, e soprattutto che non si tratta di un foglio, bensì di diverse carte da tenute assieme da una graffetta, tutte vergate con una grafia maschile e nervosa. Allora soffio sui fogli e li spolvero con la mano, sebbene in realtà siano puliti come appena gettati.
Poi torno a casa, tenendomi fra la luce e l'ombra.

***

È strano. Mi sembrava una lettera, e non è una lettera, ma una sorta di diario, irto di annotazioni a ogni margine (come se la prima stesura sia risultata sempre sommaria e insufficiente) ma non altrettanto ricca di date. Non capisco molte cose, non mi tornano molti tempi: però non ho ancora letto bene tutto... E poi mi parevano pochi fogli, e invece è un bel malloppo: con tutta la luce di stamattina, pure mi sono sbagliato nel valutarne la consistenza. È curioso anche questo.
Inoltre, manca il luogo in cui queste pagine sono state scritte, che sembrerebbe indispensabile in una lettera (ma non è una lettera, è - circa - un diario). Anzi, ho parlato troppo presto: un luogo c'è, vergato nell'ultima pagina alla fine di tutto, ed è questa città di provincia, grassoccia e assonnata; ma perché scriverla alla fine, come in un testamento? O almeno credo che i testamenti siano fatti così: non ne ho mai letti (o scritti, a dire il vero).

***

Sostiene di averla trovata in mezzo alla strada, al crepuscolo, distesa in quel viale che conosco bene (ci passa tutta la città in continuazione). Sostiene che fosse ferita, e che nessuno si trovasse in quei paraggi - era freddo, forse gelava già. Non aveva modo di chiamare un'ambulanza, e comunque se ne sarebbe vergognato o non ci sarebbe riuscito (questo è oscuro). Allora lui l'ha presa e sollevata, una donna ferita, forse fratturata..., e l'ha portata a casa. Follia, sì.
A casa, l'ha, l'avrebbe, stesa su un letto e avrebbe cominciato a curarla: aveva i capelli biondi incrostati di sangue.... Da quanto tempo giaceva a terra? Da quanto tempo nessuno transitava in quella strada trafficatissima? Eppure lei era lì ed era ferita, fratturata forse. E l'autore di questo diario l'ha portata a casa, dove viveva da solo. Da solo, sempre solo.
Sostiene di aver pregato per lei. Sostiene di aver pregato di nuovo dopo anni, forse decenni.

***

A quanto pare era davvero fratturata (un braccio, forse anche una gamba? La parte inferiore di una gamba sotto il ginocchio? Non è chiaro). Le ha strappato delle corde da non si capisce dove, e fin qui è incredibile ma passi, ma per il gesso? Per il gesso si è arrangiato, non è poi così difficile, sono materiali che tutti hanno in casa... C'è anche un disegno. Vien voglia di provare se davvero...
Il sangue nei capelli è solo un taglio in testa, abbastanza profondo ma non così vasto: le rimarrà una cicatrice. I capelli di lei, lavato via il sangue, sono bellissimi.
Lei apre gli occhi e sorride, come se fosse felice di quella pulizia. Poi di nuovo li richiude e torna nel sonno inquieto dei feriti.

***

Il gesso si è asciugato bene. Mi sorride, dice il diario, mi sorride di nuovo. Ogni ora, ogni giorno che passa la donna migliora. Adesso tiene gli occhi aperti a lungo, mangia qualcosa e si guarda attorno. Non sa dov'è, non lo capisce (che lingua parla?), però è visibilmente contenta di essere viva.
Mi sorride.

***

A quanto pare le cure inventate e arrangiate funzionano bene. Gli arti fratturati man mano tornano a posto, senza dolore, al loro posto originale, preciso. La donna non parla italiano, però, e non è sempre facile comunicare solo sulla base di uno sguardo e di un sorriso; tuttavia, non c'è al momento nessun'altra possibilità, e si va avanti così. Le necessità della ferita sono, d'altronde, piuttosto chiare.
L'uomo la fissa a lungo, quando è sveglia, sorridendole, ma anche quando dorme, sorridendole lo stesso. L'uomo solo nella casa solitaria sente nascere un sentimento, un'idea, finora nemmeno ipotizzati. Così pare che siano andate le cose.

***

Con l'inevitabile lentezza di queste faccende - come se qualcuno conoscesse la normalità in queste cose; come questo diario ne sapesse qualcosa! - la donna bionda guarisce. Forse è tempo di togliere il gesso (i gessi?). Di sicuro mangia, mangia e si guarda attorno. Sorride un po' meno: non capisce dove sia capitata, non ha chiaro il proprio destino. Suppongo sia normale per una donna, in simili circostanze ma anche in generale, una certa inquietudine, una certa paura (è paura, questa?).
Inizia a parlare un po' d'italiano; no, in realtà ripete le parole - poche, e stranamente specifiche; ma è normale, data la situazione - che ha sentito. Lui le sorride sempre e ancora, lei ha capelli bellissimi e il suo viso non è da meno.

***

Sembra, è sicuro, che lei se ne voglia andare. Sta bene? Non sta bene, non può ancora stare bene del tutto, ma vuole andar via. Non capisce quella casa vuota, non capisce, o capisce, i sorrisi di lui. Non...
Lei si alza dal letto. La fisso mentre cammina, la ascolto mentre mi parla, calma, decisa, e non le sorrido più. Tutto scritto, in una grafia minuta, furiosa, ma per me comprensibilissima; tutto incancellabile ed evidente. Lei se ne vuole andare - io la amo - vuol portare via i suoi capelli biondi. E questa casa di nuovo vuota? Presto?

***

Lei è scomparsa, sparita, non c'è più traccia di lei - fisicamente - in questa casa: ma resta tanto, resta il suo colore, il suo sorriso, una certa aria bionda che prende la luce filtrando dalle finestra. Pure la casa è vuota. Pure la casa, la mia casa, e io...
Alzo la testa dai fogli: questa è la mia storia, questa è la mia casa. E queste carte, cosa sono? Una confessione, una lettera, un testamento? Non lo so, non lo so più, ora. So solo che è tempo di assicurarmi che questi fogli - ecco, in un cassetto - e da un altro cassetto, da un altro cassetto, il mio revolver. Poi vedremo. Ora vedremo.
Ma adesso basta.

Forlì, 27 agosto 2012

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