15 settembre 2011

Una storia edificante

Arik-balit, prediletto del dio Assur, signore di mille città, davanti cui si prostrano i coltivatori d'orzo della pianura meridionale, i popoli dei monti che allevano gli onagri e le tribù del nord che estraggono pece dalla terra, si affacciò un giorno da una finestra del suo palazzo, rosso di mattoni e azzurro di smalti preziosi, e vide una donna.
La donna che passava in strada aveva la pelle scurita dal sole, come una plebea, e il naso diritto e sottile della gente dell'Anatolia; doveva essere una strega, perché sentì lo sguardo del re e lo ricambiò. Quando vide quel volto, Arik-balit si sentì punto, e mandò a chiamare il capo delle sue guardie.
"Chi è", gli chiese, "quella donna del Nord che passava poco fa in strada? Non l'ho mai veduta nel mio regno, né ho sentito parlare prima dei suoi occhi viola".
"Ella, mio signore, è la moglie di Seru l'hurrita, che serve da prode nel vostro esercito e ha mostrato la sua fedeltà con molte ferite".
"Non mi aspetto nulla di meno da un mio soldato; ma se è tale la sua bravura, desidero e comando che gli si dia occasione di mostrarla al meglio. La primavera che viene, quando l'esercito si muoverà contro i Caldei, gli venga affidato il comando della prima linea, così che mostri col suo coraggio e il suo sacrificio la via ai miei soldati".
E veramente, quando gli Assiri si trovarono di fronte le schiere dei Caldei, che adorano pietre informi cadute dal cielo chissà quando e richiamano alla vita i morti con parole incomprensibili, Seru l'hurrita avanzò per primo verso il bronzo luccicante dei nemici; ma egli era un bravo capo ed era gradito ad Assur, perciò i suoi soldati morirono per lui e la sua gloria rifulse sul campo. Quando la notizia della vittoria giunse al palazzo, ed essa fu attribuita alla spada di Seru, il re volle celebrare il trionfo e lo chiamò a corte, assieme alla sua consorte. Quando Seru gli si inchinò davanti, Arik-balit in persona lo rialzò; e gli donò una lama dorata e una nuova missione: doveva prendere una fortezza che da tempo resisteva agli Assiri e chiudeva loro la strada per il mare occidentale. Erano gli stessi hurriti ad averla costruita e a presidiarla, ma il re parve non preoccuparsi di questo; mentre annunciava a Seru la sua destinazione, guardava la moglie di lui e i suoi portentosi occhi viola.
"Quella fortezza", disse più tardi il re al capo delle guardie, "ha resistito a mio padre e a mio nonno, e Seru non la prenderà; forse preferirà tradirmi e tornare ai suoi hurriti, e allora io prenderò sua moglie in schiava a parziale risarcimento della sua malafede. Se invece tornerà sconfitto, gli taglierò le palpebre e lo farò impalare per non aver adempiuto ai miei ordini, e sua moglie sarà comunque mia. Dovesse morire in battaglia, sarà un eroe e lei sarà una vedova".
Ma quando l'estate stava per terminare, e con essa la stagione della guerra, le mura della fortezza caddero davanti agli Assiri; Seru l'hurrita sapeva come combattevano e cosa pensavano gli uomini della guarnigione, che avevano il suo stesso sangue, e riuscì dove tutti gli altri avevano fallito.
Quando tornò di nuovo da Arik-balit con la propria moglie, Seru ebbe una corona di foglie d'oro e una nuova gloria: sarebbe diventato capo delle guardie di palazzo, e la sua incommensurabile spada avrebbe difeso la persona del re. "Vedi", aveva detto il signore al vecchio capo delle guardie, prima di congedarlo, "devo impedirgli di cogliere altre vittorie; lasciamo che la sua fama invecchi e svanisca, e poi potrò eliminarlo".
Ma Seru l'hurrita non si sentì defraudato di nulla e non protestò per esser stato allontanato dall'esercito; svolse invece il suo nuovo incarico con entusiasmo, e condivise sempre l'umile pasto dei suoi uomini, come aveva fatto da soldato e da generale. Quando il re chiamò le sue guardie, perciò, e comandò loro di assassinare l'hurrita, queste non obbedirono, giacché non credettero che la decisione fosse giusta; e fu forse la prima volta che uno scrupolo morale si affacciò alle menti degli uomini, in quelle terre e in quel tempo. Cosicché Arik-balit fu preso e condannato, per aver tradito Assur e per aver governato con falsità e malanimo; gli tagliarono la pelle e le palpebre, e i suoi occhi neri furono bruciati dal sole.
Arik-balit era ancora sul suo palo, gemente, quando Seru si accinse a dormire nel palazzo la sua prima notte da re. Sdraiato su tessuti preziosi, disse alla propria moglie: "Avresti mai creduto, mio tesoro, che la mia spada mi avrebbe condotto fin qui? Che un soldato si sarebbe fatto re, per Assur e per il suo braccio?".
La moglie gli sorrise e rispose: "Ma è per me, amore mio, è per me che sei qui; è per me che il tuo braccio è stato scelto e favorito e ha conquistato le fortezze nemiche e questa città". Allora Seru le diede ragione, senza parole, e la baciò sulle ciglia folte e sul naso diritto, e poi sulle palpebre morbide che coprivano i suoi incommensurabili occhi viola.

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