07 aprile 2011

Rudimenti di antropologia culturale

Gli antropologi, strambi personaggi che passano tutto il tempo a girare zaino in spalla in mezzo alle sterpaglie e alle manifestazioni del disordine creativo dell'umanità, a volte anche fuori della propria stanza, hanno recentemente scoperto nel fondo verdissimo della nuova Guinea, in una penisola che finora si riteneva abitata solo da scimmie dai grandi occhi, una tribù di aborigeni che non credono all'esistenza di Giulianova (TE). Hai un bell'andare lì, nella penisola calcarea posta al margine superiore della Papuasia, non lontano dal confine indonesiano, a dire a un paio di loro: guarda che Giulianova esiste, e non solo esiste, ma alla fine, pur con tutti i suoi problemi, che di certo ha (e chi non?), alla fine della fiera è anche un bel posticino; ma loro no, dissentono, uniscono gli anulari delle due mani (che in Papuasia è un modo un po' sempliciotto per dire no; come volessero intendere, "Ma chi vuoi che ci creda?"), ridacchiano e si allontanano con l'arco in spalla. Perché va bene l'uomo bianco, vanno bene gli aerei e i treni, va benone la macchina da cucire e la televisione, va bene persino il Dio freddo e invisibile che hanno portato certi frati belgi; ma Giulianova no, Giulianova è troppo, nell'ordine mentale di quei selvaggi non c'è posto per Giulianova (TE).
A questo punto, gli antropologi, che sono gente stramba, con i calzettoni corti e la barba bionda, si dividono e iniziano a litigare: certi dicono che bisogna rispettare le culture altre, che il mondo è policulturale, l'umanità multiforme, la gente differisce, e per fortuna, e non c'è niente di male se uno vuol credere a una cosa che poi, a ben vedere, non fa male a quasi nessuno; dispiace solo un po' ai giuliesi, almeno a quelli che si interessano di antropologia, il fatto che si trovi adesso su questo stesso mondo che ospita la cittadina abruzzese una cultura che invece non ha fede nell'esistenza della città, e anzi basa la propria unicità proprio su questo rifiuto. Gli antropologi di questa prima fazione, perciò, quando si recano nella capanna lunga e stretta del capovillaggio, con il tetto spioventissimo per via del clima subequatoriale, spesso si mettono a descrivere con dovizia di particolari - dico per dire - le bellezze di Tortoreto, al che il grande capo ascolta con attenzione, ma durano grande attenzione a non spingersi mai a Sud; altri, addirittura, hanno fatto stampare certe cartine dell'Abruzzo in cui i comuni di Roseto e Tortoreto, contro quanto stabiliscono l'esperienza e il diritto municipale, appaiono ingranditi e giungono a toccarsi.
C'è però un altro gruppo di antropologi che rifiutano l'eccesso di relativismo, quando serve ad ingannare i popoli, e giudicano che la menzogna non sia mai un mezzo accettabile nel dialogo interumano. C'è ad esempio un antropologo svizzero che ha la nonna a Giulianova, e questa prepara certi piatti di pesce che davvero uno non ci crede, specialmente se sei abituato ai ristoranti di Lucerna, ma questo è un altro paio di maniche: la questione vera è un'altra, e lo svizzero l'ha anche detto a un convegno, la questione è che se quegli aborigeni sono nostri fratelli, e non c'è motivo di sostenere che non sia così, allora perché a loro dev'essere precluso quel pesce, perché non possono presentarsi un giorno - poniamo di domenica, ché c'é più tempo per preparare - alla tavola dell'anziana signora Di Fabio, che fa un pesce che lèvati? Allora l'antropologo svizzero va dal capovillaggio, lo stesso di prima, e gli descrive non solo la casina bassa con le finestre verdi della nonna, ma tutto il quartiere di villette linde, e poi gli dice anche di quella volta da ragazzo che è stato a vedere la partita allo stadio Fadini, e c'era tutta Giulianova, allo stadio, perché quel giorno si giocavano una promozione in C1, lo capisce che significa questo per un giuliese?
Ma quei selvaggi non credono neanche alla C1.

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