09 giugno 2010

Elogio del personale universitario

Il fervore di una biblioteca a Lettere, una mattina qualsiasi di una gelida estate bolognese, è commovente; colpisce, parimenti, l'unità d'intenti, la disciplina con cui tutti gli impiegati si affrettano a compiere il proprio difficile dovere.
Lo sciabattare dei fricchettoni, giacché è un diritto di ogni alluce più o meno ben formato quello di farsi una cultura nei sotterranei di un deposito universitario senza essere impedito dal fascismo di una scarpa chiusa, dice più di ogni discorso ispirato; la fatica nei volti duri e virili dei dipendenti di Lettere, l'impossibilità di continuare a caricare pamphlet nei propri cestini - le gambe cedono, la respirazione si fa affannosa - esprimono meglio di ogni lunga dissertazione il peso della cultura e la vocazione al sacrificio e all'annichilimento di sé che contraddistinguono questi eroi, capaci di portare in superficie, in un'ora, fino a due libri senza sbagliarne più di uno. Al cospetto di questi eroi moderni, scompare anche Decio Mure e la sua facile sbruffonata del Sentinum, quando volle dedicare la sua vita agli dèi inferi, gettandosi nel folto dei Gallo-Sanniti.
Il peso della cultura, d'altra parte, può uccidere quanto e più di un banale e superato furor gallicus.
Tu, novello Franti, chiedi loro di trarre dagli antri umidi, custoditi da fuoricorso calabresi e da altre belve mitologiche, la follia di quattro volumi: essi ti guardano come monaci irlandesi di qualche isola ventosa cui sia stato chiesto di copiarne quindici in bella grafia da qualche stropicciato codice greco e, visto che ci sono, di trovare soluzioni convincenti ad alcune lacune del testo. Sbiancano, dunque, quei prodi, pure scendono a cercare i libri; ore dopo, quando riemergono, sono pallidi e sudati e forse, se ora qui partisse una pizzica, farebbero persino fatica a ballarla.
Tuttavia, hanno compiuto il proprio dovere e hanno guadagnato il pane duro della giornata, quello che divideranno con i compagni di lotta e di giocoleria.
Intanto, nelle miniere di amianto intorno a Shabani, in Zimbabwe, alcuni lavoranti se la ridono pensando a come sono stati fortunati ad avere quel mestiere, invece di un logorante posto da bibliotecario in un'università italiana. Poi tornano giù per le successive quattordici ore.

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