26 febbraio 2010

Nuove frontiere del turismo

Il difetto del turismo è che richiede lo spostamento di persone, e tutti i luoghi turistici sono pieni di gente - molto spesso di gente sudata - e ci si sta sostanzialmente male. Poi hai voglia a dire "Ma tu guarda che capitelli! Hai visto amore che capitelli? Quei capitelli, parola mia, hanno qualcosa di straordinario": quando si è in fila sotto un sole implacabile insieme ad uno slovacco che deve aver dimenticato nello zaino dalla precedente vacanza qualche pietanza a base di cavolo, passano in secondo piano non solo i capitelli, ma anche tutti e tre gli stili architettonici ellenici e le rispettive conseguenze sull'estetica dei templi. D'altra parte, un luogo turistico in cui non ci sia nessuno avrebbe a ben vedere qualcosa di strano: probabilmente non c'è niente da visitare, forse l'oste uccide e mangia i propri ospiti, ed è anche possibile che in questo posto ci sia un grosso cane marrone con problemi di incontinenza o che comunque sia difficile arrivarci da Terni. Per dire.
L'ambizione della nostra guida di oggi è allora quella di illustrare posti che, pur essendo gradevoli e raggiungibilissimi, siano anche un po' discosti rispetto al flusso distruttivo dell'odierno turismo di massa. Tipo casa vostra. E non c'è niente di meglio di casa vostra, prova ne siano gli innumerevoli proverbi, diffusi presso tutte le lingue e tutte le culture, che la celebrano senza remore (casa dolce casa; casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, tu mi pari una badia; la donna che muove l'anca se non è puttana poco le manca; ed altri). Senza contare che, se si è avuta la previdenza di dotarsi di una poltrona a rotelle da ufficio, si può perfino girare per tutti gli anfratti della propria abitazione senza nemmeno ricorrere alla scomoda posizione eretta, che poteva forse andar bene per i nostri progenitori pelosi e africani, ma che oggi, in assenza di felini davvero pericolosi, appare francamente antistorica.
Passiamo tuttavia alla guida vera e propria. La maggiorparte delle case, di certo obbedendo ad una qualche antica cifra stilistica di cui tuttavia si è persa memoria, si assomigliano: infatti, tutte posseggono un tetto, alcuni muri a chiudere l'edificio all'esterno ed altri, in genere meno spessi, che dividono il bagno dalla camera di Zia Marta. Ci sono poi altri elementi comuni a tutte le case, come dei buchi sui muri (di solito quelli esterni) riempiti con pezzi di vetro e legno, all'occorrenza spalancabili, che sono denominati "finestre" e servono a far prendere freddo a chi le apre. In qualche occasione, se l'apertura avviene silenziosamente e all'improvviso, e qualora l'abitazione sia al piano terra o in strada stia passando una sfilata di artisti sui trampoli, si può utilizzare la finestra a scopo di difesa personale; nel resto dei casi, tuttavia, l'originale funzione bellica è andata perduta.
Un altro buco, più vasto e di solito riempito con alcune tavole di legno in grado di ruotare sul proprio asse di novanta o più gradi, è denominato "porta" ed è utilizzato per evitare di cacare all'aperto. Lo spazio appena retrostante la cosiddetta porta è spesso caratterizzato da uno o più mobili pensili, sui quali stanno i ricordini dei viaggi di alcuni tra i membri della famiglia meno dotati di buon gusto e senso del limite. Gli studiosi credono che l'usanza di lasciare su questi mobili le cartoline di Vasto e le palle di vetro in cui scende la neve sia parte residuale di un sostrato di credenze e rituali volti a scoraggiare gli spiriti maligni dal varcare la porta ed entrare in casa. Altri danno la colpa a Berlusconi.
Si situa di solito in cucina, o almeno così dovrebbe essere nell'ordine naturale delle cose, il culo di vostra moglie; esso, normalmente attaccato a vostra moglie, porta le testimonianze di numerose conquiste da parte di diverse civiltà che si sono succedute nella conquista e nell'amministrazione di quello spazio, regolandone a volte la scoscesa orografia con complesse opere idrauliche; tale travagliata superficie, che ha visto tanti combattersi per il suo possesso, adesso è vostra. Prosit.
Un quesito di difficile soluzione è posto poi agli archeologi e agli architetti dalla "stanza dei bambini": qui sono ammonticchiati alla rinfusa i lasciti di un'antica civiltà evidentemente composta - date le dimensioni del mobilio - da uomini e donne molto piccoli e probabilmente di limitata intelligenza, a giudicare dai poster di High School Musical che sono stati rinvenuti in gran numero sui muri divisori di questa stanza. Quasi certamente pacifici ma poco produttivi, i mitologici "bambini" non hanno lasciato armi (se non assurde pistole con tappino rosso e archi di plastica con frecce a ventosa) né impianti industriali o manifatturieri; alcuni storici hanno voluto inferire, dallo stato di disordine evidente e dai numerosi reperti ascrivibili al genere dei passatempi, che i bambini organizzassero ludi gladiatori; probabilmente, data la ridotta statura della stirpe, contro scoiattoli o al più gatti randagi. Si sa che i bambini erano usi recarsi, forse per motivi religiosi, a "scuola" (lo si evince da numerosi foglietti scritti con grafia incerta); qui i bambini si trovavano bene, pur non facendo niente. L'interpretazione di questo concetto, che appare consolidato da molti ritrovamenti, è uno dei grandi misteri della casologia moderna.
Infine, vi è il bagno, dove secondo una lettura condivisa avvenivano rituali mistici affini a quelli dei nativi americani: i maschi della casa, e in particolare i giovani maschi, si recavano al bagno in cerca di un'illuminazione; raggiuntala, o a volte dopo averne raggiunte anche un paio, ne uscivano raggianti, benché provati. Secondo alcune fonti, più numerose a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, i bagni ospitavano anche lavatrici; ogni lavatrice era in grado, stando a diversi autori, di pulire velocemente grandi quantità di panni sporchi. Per questo gli storici ritengono che per lavatrice si intenda "gruppo di donne". Con il tempo, i branchi di donne tendono ad allargarsi e a diventare più numerosi, aggregando verosimilmente molte zitelle dalle forti braccia; a dimostrazione di ciò, tutte le fonti parlano di lavatrici sempre più veloci e potenti.
Ma restano ancora molte questioni insolute ed affascinanti, in casa vostra. Per questo, quando la notte prendete sonno, ricordate sempre che siete stati fortunati ad avere il privilegio di vivere in un luogo tanto ricco di storia e di bellezza; poi dormite pure, ché tanto a proteggervi ci sono i "muri".

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24 febbraio 2010

Silenzio (una storia di famiglia)

La casa è giù, giù in basso, e la valle è così stretta e profonda che agli abitanti della casa pare di essere al fondo di un imbuto; e sembra loro che la neve che scende ormai da quattro giorni scivoli giù per i pendii ripidi e si raccolga tutta intorno alla loro dimora di pietra, fino a soffocarla nel bianco e nel silenzio. Ma sbagliano, perché c'è neve, ed è ormai molto alta, anche sulle creste che chiudono la valle e sul piccolo cimitero in cima ad una collina, che dona alle tombe una veduta piuttosto ampia su quest'angolino di mondo.
Dentro al cimitero ci sono le tombe di numerosi familiari e parenti morti nel corso dell'ultimo secolo; e dovrebbe esserci anche il nonno, ma non c'è. Non c'è perché è morto quattro giorni fa, mentre i primi fiocchi facevano la loro comparsa al fondo dell'imbuto, e non c'è stato modo di portarlo via, con tutta questa neve; non c'è perché è ancora in casa, sdraiato sul letto, zitto zitto, e il suo silenzio si confonde con quello della neve e con quello della famiglia, che di là si scalda davanti al fuoco: qualcuno vi getta i gusci vuoti delle castagne appena estratte dalla cenere.
Il prete ha fatto in tempo soltanto a somministrare i sacramenti, poi si è gettato fuori, in mezzo alla neve che già si ammucchiava, diretto alla sua chiesa in cima all'erta. Sono rimasti d'accordo che appena avesse smesso sarebbe tornato, e avrebbe accompagnato la bara nel tragitto verso il cimitero.
Per quattro giorni, tuttavia, non ha smesso di nevicare; e quando nevica il mondo si ferma e la natura smette di fare il proprio corso, per cui neanche ai morti è consentito prendere iniziative. Così, sotto la neve, il nonno è restato in casa, e per quei quattro giorni è rimasto ancora uno della famiglia. Di là sul letto, sia pure in silenzio, sembrava osservare i bambini annoiati e le donne che tiravano la sfoglia di polenta.
Poi ha smesso di nevicare, e allora è stato il momento di portarlo via. Gli uomini hanno fatto la rotta, scavando una via nella neve con pale e vanghe. Il prete non poteva però avventurarsi in fondo alla valle, con la neve che gli arrivava a metà tonaca e anche più su; allora dalle case vicine hanno urlato che avrebbe aspettato il morto su in alto, al cimitero, e chissà com'era arrivata quella notizia. In ogni caso, le donne e gli uomini della valle hanno accompagnato la famiglia e la bara grezza su per la salita: le donne hanno recato conforto con i rosari, gli uomini con le pale.
Com’è la norma dopo le lunghe bufere, il cielo era pienamente terso, e il freddo era acutissimo: i raggi ghiacciati del sole si infilavano nei panni rozzi e pesanti dei contadini come coltellate. La bara, la si portava a slitta o a spalla a seconda dei tratti; per quattro chilometri le donne hanno mormorato qualcosa nel latino delle campagne marchigiane, mentre gli uomini si sono sforzati di trascinare la bara e trattenere le bestemmie. Alla fine, il corteo accaldato e gelido ha raggiunto il cimitero, dove il nonno, calato in una buca nel terreno sgomberato della neve, è potuto morire anche socialmente, ed ha abbandonato la famiglia.
Il corteo funebre si è ritrovato in seguito nella casa in fondo alla valle, dove si sono date pacche sulle spalle e si è bevuto del vino rosso; il nonno, piantato nella terra, è rimasto in alto, a vegliare sui campi e i boschi dove vive e lavora la famiglia, dove è vissuto e ha lavorato lui. Un merlo nero è atterrato sulla tomba, attirato dalla terra smossa di fresco, ed ha zampettato un po’ in cerca di cibo; poi è sparito in tutto quel bianco.

(domani anche su Microcenturie)

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16 febbraio 2010

Il ritorno dall'isola

Oggi sono in vena inspiegabilmente magiarofila; ripubblico dunque un testo che scrissi per un blog purtroppo chiuso, e ne approfitto per salutare e ringraziare di tutto la tenutaria di quello spazio. C'è in arrivo anche un post nuovo, se per caso vi state preoccupando.

***

Sono il soldato semplice Péter Pan, dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, e sto facendo ritorno a casa, a casa mia, da cui sono partito che ero poco più di un bambino. Là abbraccerò mia madre, che ormai ha quasi quarant'anni; poi salirò sulle mie montagne, meno aspre di quelle su cui ho combattuto, più consce di essere il presagio di una grande pianura fertile, attraversata da fiumi grandi e belli, ornata del lavoro dei sudditi dell'Imperatore; infine cercherò la donna che ho sognato a lungo nelle notti passate nei ricoveri di fortuna, una donna che ancora non conosco ma già sento di amare, e la guarderò negli occhi profondi di cui non saprei dire il colore. Nella mia terra voglio fermarmi: ho visto il mondo in fiamme e non mi è piaciuto. Voglio tornare, voglio dormire nella casupola in cui sono cresciuto e dimenticare di essere partito.
La mia casa è là in fondo, ormai ci sono quasi. Ora ci entrerò, saluterò appena mia madre, poi mi butterò sul letto e dormirò mille ore, finché i miei piedi non avranno dimenticato i sassi delle Alpi. Io non sapevo che si potesse essere così stanchi. Per fortuna, ora sono a casa.
Ma che succede, dio mio? Perché mia madre non mi vede? Per quale motivo la mia finestra è sbarrata? Perché non mi è permesso entrare? Solo ora ricordo: sono il soldato semplice Péter Pan dell'Imperial Regio Esercito austro-ungarico, nato il 21 agosto 1897 a Ruszkabànya Krassò-Szörèny; un cecchino dai piedi di capra come quelli del demonio, nascosto tra le pietre del Monte Grappa, mi ha colpito il 19 settembre 1918. Mi ha fissato nel mirino mentre parlavo col soldato Jozséf Nagy; io parlavo ancora, forse sorridevo, ed ero già morto.
Sono il soldato Péter Pan e non posso più tornare a casa.

(il racconto è stato ispirato da questa amara vicenda)

02 febbraio 2010

Chiedo la vostra attenzione

Ho iniziato a collaborare, con due altri degenerati, alla stesura di un assurdissimo blog di calcio e poesia, che è poi questo qui: http://poetareconipiedi.blogspot.com. Essendo così assurdo, peraltro, non ruberà tanto tempo a questo serissimo blog. E poi, per chi non l'avesse notato, ho scritto questo su Cabaret Bisanzio: Non ti tocco, o La negra sul treno.
E vi bacio tutti con trasporto.

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