30 luglio 2009

Brevi note

Mi fa notare il buon kadd che quando scrivo le cose su cabaret bisanzio dovrei anche avvisare da questa parte, ché non tutti, in questa era di rilassamento generale e mancanza di disciplina, hanno lo sbattimento di andare a controllare. Ecco dunque un elenco dei miei post finora pubblicati su cb.
Per ciò che concerne quella che dovrebbe essere l'abbozzo di una saga marchigiana:
La fine di Montestato nelle testimonianze dei suoi abitanti, parte I;
La fine di Montestato nelle testimonianze dei suoi abitanti, parte II: Montestato com’era.
Quanto a miei illuminanti interventi sulla società italiana odierna:
Lettera aperta del noto intellettuale Gino Lepido Freschetti
Qualcosa di sinistra?
L'opzione demografica.
In più ci sono dei racconti (Breve romanzo triste d'amore e di Bisanzio, Spotless mind e Il primo portoghese nello spazio) che erano già stati pubblicati qui e che in ogni caso trovate nella colonna di destra. Probabilmente domani uscirà sul sito un racconto nuovissimo e freschissimo, che vi invito già da ora ad andare a leggere.
Volevo poi rivolgermi agli organi esecutivi e deliberanti della Regione Marche, avendo appreso dal Corriere della Sera che una banda di imbecilli malcreati dimentichi della storia e della decenza, altrimenti noti come "Senato della Repubblica", hanno approvato il passaggio all'Emilia Romagna di sette comuni della Valmarecchia. Ora, come uomo di sinistra appoggio e approvo ogni espressione della volontà popolare: se gli abitanti di quei comuni hanno deciso così, che si rispetti la loro opinione. Anche se, almeno ai miei occhi, abbandonare la Città Ideale in favore di Viale Ceccarini appare un atto francamente abietto e perfettamente in linea coi tempi attuali. Vorrei muovere solo due osservazioni all'indirizzo dei politici marchigiani, che ritengo siano ancora nella condizione di fare qualcosa:
1) San Leo no. San Leo, che si chiama Montefeltro non a caso, è Urbino e con Urbino deve rimanere, altrimenti significa che davvero una decina di secoli di storia non hanno alcun significato (mi piace poi che coloro i quali esultano per questa evidente forzatura siano gli stessi che parlano di difesa delle radici e dell'identità: ma leggete un paio di libri, per cortesia, e poi morite comunque male);
2) Propongo altresì che, con spirito di fairplay e vero rispetto per le ragioni di tutti, il Consiglio Regionale marchigiano auguri, nel lasciarle andare, un fausto destino alle terre rinnegate; e doni nel contempo agli stemmi dei sei comuni, con un ultimo gesto materno, una bella merda fumante da sovrapporre ai simboli cittadini, affinché si tramandi ai posteri il ricordo di questa patetica vicenda.
Per il resto, direi che l'idea - che ebbi al tempo lontano della mia gioventù - di sprecare tempo a studiare la Storia in un paese che così bellamente se ne frega e così quotidianamente calpesta ciò che ha fondato e costruito nel passato la nostra gloriosa Nazione, si rivela in ultima analisi estremamente azzeccata.

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17 luglio 2009

Nella morsa del maltempo

Tempo bastardo, si sta malissimo; e non mi si venga a dire che è normale, in questa stagione.
Mi affaccio del balcone e vedo gente in sandali e canottierina: pazzi, incoscienti, uscire così con questo freddo. Poi tocca a noi pagare gli interventi degli elicotteri, i cani da valanga, le amputazioni d'urgenza delle dita congelate. Poi toccherà a noi mantenerli, quando si aggireranno per le nostre città con i loro moncherini in bella mostra, e tutto per aver sfidato la natura e il buonsenso ed essersi aggirati seminudi nelle tormente ghiacciate di luglio. Non voglio neanche guardare più a lungo, non sono tipo da godere della pornografia del dolore e non attendo che il freddo blocchi i movimenti dei folli in strada, ne imbianchi le sopracciglia, ne appesantisca e fermi il respiro: e poi sento già il vento siberiano che mi sferza il viso, perciò richiudo la finestra prima che possa insinuarsi nel mio modesto domicilio. Vado a sedermi sulla mia ampia poltrona di pelle nera, mentre rincalzo ben bene il mio plaid a quadri intorno alla borsa dell'acqua calda e sulle estremità martoriate dal gelo. Fuori dalla finestra osservo un cielo livido e mi viene in mente la marcia di Napoleone in Russia, il potere neutro e feroce della natura, il suo annichilire ogni vanità umana con un semplice cenno della sua mano algida e smisurata. C'è ancora qualche uccello che si staglia nell'aria, di là dal vetro: poveracci, tra qualche ora o qualche minuto il freddo fiaccherà la loro disperata resistenza, e quella stessa creazione che ha donato loro il miracolo del volo li costringerà alla paralisi e alla morte, uccisi dalla temperatura e dalla mancanza di prede, a loro volta decimate dal freddo.
Tali sono i miei pensieri mentre apro il termos e sorseggio della moretta* per combattere i sintomi dell'ibernazione; intanto il sudore mi cola a rivoli sul viso, e dev'essere la paura, l'inquietudine, il nero causato dai pensieri e dalle premonizioni della morte glaciale che ci attende tutti.

*per i non marchigiani: caffè corretto con rum e anice.

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09 luglio 2009

Cronaca di una malattia

I sintomi, prima di tutto bisogna chiarire i sintomi. Quando è con una donna, quando parla con una donna, l'uomo si astrae dalla conversazione, pur continuando a portarla avanti e a risultare anzi simpatico e brillante, e pensa solo alla sua interlocutrice con qualche vestito in meno, poi in diversa angolazione e con altre assonometrie, poi con ancora meno vestiti e in prospettive ancora differenti. A quest'uomo piace molto parlare con le donne. Fin qui, dunque, tutto normale: che dovrebbe fare, uno? Parlare con tavoli, crostate, maschi, castori? Bisogna essere seri. Bisogna essere seri ed obiettivi, quando si ha a che fare con una patologia.
All'uomo non piace semplicemente discutere ed immaginare. L'uomo che si avvicina ad una donna sente uno strano scatto alla mascella, la propria espressione di sempre mutare: l'uomo non può vedersi, ma sente sul proprio volto un sorriso lontano e felice, il sorriso di uno che ha nuotato a lungo, o il ricordo di una risata di ieri, o la profezia di una felicità necessaria (ancora quasi invisibile, ma inevitabile). E poi gli occhi, gli occhi e lo sguardo: lo sguardo dell'uomo, se parla con una donna, obbedisce a strane polarità, si abbassa per un momento a cercare qualcosa in qualche lontananza, poi si solleva di colpo negli occhi di lei e vi entra come in un qualcosa di familiare. E quando parla lei, il silenzio dell'uomo è disteso al fianco di lei, attento e vicino; quando invece parla lui, le sue parole sono carezze.
Dice il medico che nasce tutto da una introiettata volontà di piacere, che la psiche ha plasmato il corpo e la pratica, che non si può parlare di fascino ma solo di istinto, non più di conquista ma solo di patologia, e che l'uomo deve curarsi se vuole ritrovare la propria sanità e reinstaurare un rapporto finalmente sensato con l'altro sesso. L'uomo è sul lettino, annuisce, ha coscienza di tutto e concorda su ogni cosa. Non è normale piacere a tutte, dice il medico, ma lo dice con un fastidio che ha poco a che fare con la distaccata deontologia della professione.
Fatto sta che un giorno l'uomo è in una stanza bianca, aperta su un parco pieno di voci e di canti di animali; una tenda, bianca anch'essa, vela la luce del sole. L'uomo siede sul letto, i palmi appoggiati a lato delle cosce, lo sguardo e la mente vagano chissà dove. Entra un'infermiera esile, dai capelli castani (una ciocca le scende sul viso), e dice qualcosa al malato distratto: questi alza la testa, i suoi occhi sono subito in quelli di lei, e dicono - come si dice senza parole - di aver trovato in quegli occhi ciò che prima cercavano nelle loro distanti profondità. In caso di attacchi si deve chiamare il primario e iniziare la procedura d'urgenza; l'infermiera ovviamente lo sa, però esita.
La guarigione richiederà tempo.

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