19 giugno 2009

Frammenti di storia universale

azie a quella audace manovra l'esercito del polemarco batté e mise in fuga i nemici; e un gruppo di etairoi tra i più zelanti si organizzò subito per braccare e raggiungere i fuggiaschi, non appena fosse spuntato il giorno e coi cavalli riposati.
C'era in quell'esercito un uomo di nome Creonte, che aveva i capelli fulvi ricci ed era per questo ben visibile in mezzo alla cavalleria tessale. Creonte si portò con valore nella battaglia e fu tra i primi a sfondare il fronte nemico al guado del fiume; quando tuttavia lo scontro era alla fine ed i persiani non badavano ad altro che a mettersi in salvo, piombò in mezzo alla cavalleria un messaggero tutto impolverato e chiese a gran voce del rosso, nel mentre cercava di rendere presentabili a forza di manate i propri vestiti. Gli domandarono chi fosse il rosso, e lui specificò che si trattava di Creonte, e che lui veniva dallo stesso villaggio del rosso, cioè Creonte, e che con quest'ultimo doveva assolutamente conferire. I cavalieri tessali lo scortarono dunque da Creonte, non perché ci fossero dei pericoli, ma più che altro per sapere dal messo che novità ci fossero in Focide. Il messaggero rispose allora che non succedeva niente di che, un po' come al solito, però c'era un orso che da un po' di tempo terrorizzava le case isolate, penetrava all'interno dei capanni e dei pollai e rubava bestie e uova. Un cavaliere originario di Tespia disse allora che anche dalle sue parti c'era un orso simile, poi avevano scoperto che era soltanto un tale coi piedi piatti e una pelliccia nera che non aveva più voglia di lavorare per mangiare e si era inventato quella curiosa pantomima. Se ne erano accorti, continuò il Tespiano, perché quell'orso a volte non resisteva all'impulso di mettere in ordine i suoi stessi danni e richiudeva gli orci che aveva violato. Inoltre gli orsi, fu ricordato, non bevono vino. Erano ormai giunti davanti a Clearco, che espelleva dal naso muco impolverato per le tante cariche della giornata e lo contemplava a lungo, perciò la scorta tessale salutò il messaggero e si ritirò verso le tende; ma prima uno dei soldati, un tale magro di Delfi con gli occhi insolitamente piccoli, consegnò al polveroso viandante una statuetta dorata, con preghiera di recapitarla alla figlia di Filosseno, il sarto che sta sulla strada per Tebe.
A quel punto Clearco notò il messaggero e smise di soffiare via polvere e muco, chiedendo invece al nuovo arrivato se non fosse per caso Teodulo, il figlio di Crisogono. Teodulo confermò la propria identità, e disse che stato inviato lì dalle preghiere disperate di Apollonia, la moglie di Clearco, che gli domandava mille dracme d'argento per rimettere a posto la casa ormai cadente e, visto che si presentava l'occasione, comperare le vigne del vecchio Pseace che non aveva più la forza di coltivarle e le cedeva a buon prezzo. Clearco a quel punto si inalberò, e chiese che fine avesse fatto la parte di paga che lui inviava regolarmente a casa, e se per caso non avessero preso l'abitudine di gettare il suo denaro nel Cefiso o nei profondi crepacci che contornano il Parnaso. Il messaggero disse che no, che il denaro del valoroso Clearco era impegnato nel mantenimento decoroso della famiglia e dei figli, senza indulgere ad alcun lusso, e che Apollonia era vista in tutta la vallata come un esempio di virtù e modestia; soltanto che non funzionava più come ai tempi di Esiodo, che bastava un po' di formaggio, due olive ed erano tutti felici, adesso i figli, le case, tutto costava caro. Clearco domandò a Teodulo, ancora sporco di terra che non voleva volar via, perché avessero scelto proprio lui per quell'ambasceria. Il messaggero chiese a sua volta se aveva presente Cleomastia, la sorella di Apollonia; al sospiro eloquente del soldato, Teodulo chiarì di essere il fresco fidanzato della ragazza, e che gli avevano concesso di sposarla se avesse portato a termine con successo la missione. Clearco commentò allora che si trattava di un ricatto bello e buono, e che lui in ogni caso non portava la lancia e lo scudo per pagare le vigne del vecchio Pseace, che oltretutto erano poste su terra acquosa e che non avrebbero mai prodotto vino decente, ma solo e soltanto per la gloria degli antenati e degli Elleni. Teodulo lo invitò a riconsiderare la sua intransigenza e quasi lo pregò di non costringerlo a compiere a ritroso quel polveroso viaggio, con il pensiero e la certezza, oltretutto, di dover rinunciare alla giovane e deliziosa Cleomastia, simile per grazia ad una dea delle sorgenti. Clearco rimase in silenzio a meditare.
La mattina seguente, mentre i raggi del primo sole faticavano ancora a bucare la coltre della notte, Teodulo si mise in marcia per la Focide con cinquecentocinquanta dracme, alcune stoviglie raggranellate alla presa di Sardi e la precisa disposizione di opporsi in ogni modo all'acquisto di quelle vigne maledette, consentendo tuttavia ad un affitto di un paio d'anni che avrebbe definitivamente chiarito perfino alla stupidità delle donne l'impossibilità di trarre qualcosa di buono da quel pantano. Clearco, nella sua tenda, tirava sul volto il proprio mantello e decideva di dormire ancora un po'.
Preceduto dalle rapidissime schiere della cavalleria lanciata in cerca delle salmerie nemiche, sul far del giorno l'esercito greco si mise in marcia lungo il corso del fiu

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