30 maggio 2008

Improvvise illuminazioni

Ah, l'impulso di un momento, recarsi a Venafro con futili pretesti, rovesciare un carico di miele sulla piazza principale, farsi falsamente rossi e vergognosi e giustificarsi con i vigili urbani; e intanto scrutare l'orizzonte per vedere se arrivano gli orsi.

Ah, l'impulso di un momento, intervenire ad un convegno sugli Etruschi e parlare a profusione della zia Eufemia, delle sue pattine e della merenda con pomodori e maionese, protestando a gran voce l'etruschità della vostra famiglia, delle pattine, del gatto e delle gondole impolverate sopra il televisore; poi, cacciati dalla sala, mangiare un gelato e dimenticare per sempre gli Etruschi.

Ah, l'impulso di un momento, prendere l'autobus per San Giorgio di Piano e fare tutto il viaggio con le dita nel naso. Giunti al paese, cercare affannosamente una collina, poi piangere a lungo non avendone trovate; infine farsi consolare dal più sensibile tra gli abitanti del luogo e sperare fiocamente che vi riporti a Bologna.

Ah, l'impulso di un momento, creare cavaliere il vostro fruttivendolo, farlo inginocchiare tra i kiwi, toccargli la spalla con un porro, e pensare a tutt'altro.

Ah, l'impulso di un momento, fare la doccia con l'ombrello e leggere il giornale di lì sotto, mentre intorno alla cabina l'acqua cresce, cresce, cresce, e voi vi preoccupate soltanto della situazione internazionale.

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23 maggio 2008

Alcuni fatti quanto agli isotteri

Un uomo ad Aquileia una notte ebbe il sentore della propria morte, avendo sognato delle termiti, animali vendicativi e forieri di disgrazie per chi abbia l'incoscienza di sfidarle (anche non volendo, anche solo camminando nella campagna, fischiettando e pensando a come sarebbe bello se il cielo fosse giallo, il grano celeste, il sole un buco da cui si affacciano le scimmie). L'uomo fuggì urlando dal proprio letto, coperto solo dal lenzuolo, si infilò in macchina e corse fino in Slovenia e in Ungheria; qui la sua auto scivolò in un fiume freddo e notevolmente verde, dove, come ci si poteva attendere, morì. Il giorno dopo i giornali ungheresi scrissero gyalogos-átkelőhely, che significa esattamente "nessuno sfugge alle termiti".
Una donna a Viterbo fece un patto con le termiti: in cambio dei loro segreti raccolti in migliaia di anni di pattugliamenti sotto i palazzi del potere, la donna promise che avrebbe lasciato delle briciole di pane, ogni sera, davanti alla soglia della propria casa (come i sogni e i vendicatori, le termiti agiscono di notte). Ma avendo saputo quel che desiderava sapere, o forse sconvolta da quegli inconfessabili segreti, la donna smise ben presto di onorare la parola data. Da allora, ogni sera, verso le nove e mezza, la donna inizia a piangere; invariabilmente, che si trovi nella casa priva di molliche, a cena con un uomo che la trova allegra ed attraente, oppure alla stazione da cui partono i sentimenti più inverosimili che salgono sui treni dei pendolari, è presa da un sentimento nero e tagliente e squassata dai singhiozzi che durano fino alla mattina seguente, quando il sole li fuga. Ma la sera ritornano, e ormai non serve più a niente neanche rimediare della mollica.
Un uomo di Udine è nemico delle termiti, a causa di una vecchia storia che non vale la pena narrare qui; ogni sera le termiti, che hanno giurato la vendetta, si accalcano contro la sua casa di legno. Ma non vi penetrano mai, perché l'uomo esce sul calar del sole e disegna grandi cerchi colorati intorno alla sua proprietà. Le termiti si imbattono in una linea gialla e non sanno che fare; si fermano stupite e i soldati delle retrovie sbattono contro le prime linee. Quando infine trovano la soluzione, ecco che l'uomo ha disegnato una linea rossa e una viola e le termiti devono di nuovo fermarsi, infine tornare indietro. L'uomo ha in casa una scatola di pastelli, ed è virtualmente invincibile.

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15 maggio 2008

Istruzioni per fare del male alle donne e ad altri piccoli animali

Si cominci con l'illuderle che no, non solo non c'è nulla da temere, ma che va tutto bene, e tutto andrà meglio. Sempre meglio, e non c'è neanche molto da aspettare.
Fatele appoggiare a voi, convincetele che non hanno più bisogno di pensare e di costruirsi da sé la propria vita, perché tanto ci siete voi, che siete tutto l'orizzonte di cui hanno bisogno, l'abbraccio caldo e avvolgente e infinito, la sicurezza, la certezza e il futuro e tutto quello che può venir loro in mente.
A questo punto, quando cammineranno coi vostri passi, spezzate loro le gambe e lasciatele lì. Togliete loro tutto in un istante e osservatele da presso mentre non ricordano più cosa significhi rimettersi in piedi. Osservate lo smarrimento e il terrore e la sensazione di aver perduto per sempre la capacità di credere alle persone, e pensate che è tutto merito vostro.
Ora fatelo, purché non lo facciate per pura stupida e arrogante crudeltà; fatelo perché succede di farlo, nell'arco di una vita o anche in molto meno, e sappiate che non è inutile. Non per lei, ché poverina non ha bisogno della sofferenza, ma per voi. Serve a voi farle del male; e soprattutto tener sempre a mente che lo avete fatto, perché la coscienza del male commesso è utile, e anzi è la base di tutto un vivere civile.
Si fa un gran cianciare di perdono, ma voi non avete il diritto di perdonarvi: avete solo il diritto di sapere ciò che avete fatto e riflettere, e modellare il vostro comportamento sui danni e le tristezze che vi siete lasciati attorno.
Non c'è nulla come il ricordo del male fatto per spingere al bene gli uomini.

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06 maggio 2008

Il destino dei peccatori

Maledetti bastardi, maledetti bastardi. Hanno distrutto la mia città, maledetti bastardi. Maledetti bastardi, gli idraulici. E dannati noi.
Vivevo a Sapigna (LI); se il nome non vi dice nulla è perché la nostra pazzia e la giustizia l'hanno prima cancellata dalla faccia della terra, poi condannata all'oblio. Eppure era bella, Sapigna: c'era una terrazza che dominava la Val di Cornia, c'era un arco etrusco sotto cui passavano gli apetti con le bombole di gas da consegnare a quelli che vivevano soli, sui poggi appena fuori dall'abitato, e i nostri cani avevano tutti il cappello. Non si trovava un cane a Sapigna che non portasse cappello o berretto, mentre i gatti andavano a capo scoperto e camminavano discosti e scostanti sulle mura giallastre della città. Poi un giorno, dal nulla, sono arrivati gli idraulici e hanno cominciato a parlare di tubature e chiavi, in piazza; sulle prime li stavamo a sentire per curiosità, con un sorriso appena accennato, e li prendevamo in giro con gli occhi mentre continuavamo ad ascoltarli blaterare di vasche, di perdite e delle vie per la salvezza. Alla lunga però le loro chiacchiere si sono insinuate, liquide, fin dentro le nostre orecchie, e sono sgocciolate nel cervello dei sapignesi e vi hanno portato la discordia: ognuno ripeteva i discorsi che sentiva in piazza, ognuno si convinceva che gli idraulici portassero la verità. Ma la interpretava a modo suo, e sempre in maniera da cozzare con l'interpretazione e il pensiero del prossimo, anche quando il prossimo era più sacro del sacro: per una macchia di umidità sono venuti alle mani il padre e il figlio, nella nostra città maledetta, allora piena di cani col cappello. E Dio non ha perdonato questo scandalo.
Noi intanto, ciechi, ci eravamo affidati corpo e anima agli idraulici, che ci comandavano come signori e ci indicavano -maledetti, maledetti; maledetti loro, e dannati noi che abbiamo prestato fede alle loro eresie- come mostrare la nostra fede e rendere manifesta a Dio e agli uomini la nostra grandezza: sciami di tubi si affastellavano attraverso la città, si incrociavano, divenivano gomitoli, si intrecciavano e nascondevano il sole che non batteva più sugli apetti e non ne lucidava il ferro. Un giorno i cani, terrorizzati dal buio della mattina e dal rombo dell'acqua che ogni giorno veniva trascinata un po' più in là, iniziarono ad abbaiare tutti insieme, fin quasi a coprire il frastuono dei lavori. Gli idraulici ci ordinarono di lasciarli andare, e noi aprimmo le porte alla muta infernale che si disperse nelle campagne, zittendosi man mano che constatava la persistenza della luce solare al di fuori di Sapigna. Gli uomini che accolsero quei cani tolsero loro cappelli e berretti; quello fu l'inizio della sparizione di Sapigna. I gatti rimanevano ancora, ma non scendevano più dalla mura e non osavano mettere una sola zampa nel perimetro della nostra città. Se ne andarono in seguito, senza che noi li vedessimo partire.
Ben presto l'acqua fu pompata in ogni angolo della città, arrivò ovunque; vinse la natura e la corrente, e zampillò verso l'alto e risalì i pendii. Sapigna era buia e umida, ma noi godevamo dell'approvazione degli idraulici. I loro elogi crescevano via via che procedeva la costruzione dell'immensa fontana, al centro della città, in cui convergevano tutte le tubature, convogliando anche il rumore pauroso e crescente dell'acqua. Infine ci fummo quasi: c'interrompemmo quando ormai mancava un niente all'allaccio e all'innalzarsi di quel getto che avrebbe bagnato il sole. Placammo la nostra sete e festeggiamo la nostra impresa bevendo alcool, finché non cademmo ubriachi sotto la ragnatela nervosa di tubi, in attesa del nuovo giorno che avrebbe visto esplodere quel getto.
Ma Dio ci precedette. Fu lui a lasciar scorrere la sua acqua sulla nostra città, sia che piangesse per la nostra pazzia, sia che volesse lavare i nostri peccati; in ogni caso Sapigna si gonfiò per un breve momento, come volesse assorbire l'acqua e la rabbia divine, poi si piegò e si disfece. I contadini salirono all'alba sui loro poggi e videro scorrere via i nostri corpi ubriachi e folli, verso il mare o chissà dove. Quando l'acqua si fu ritirata, andarono e cancellarono il poco che restava della nostra città.
Non so quanti di noi si siano risvegliati come me, accarezzati e non uccisi dall'onda. Potrei giurare di aver incontrato un paio di sapignesi; ma non ne sono certo, perché sia io che loro abbiamo subito voltato gli occhi e abbassato lo sguardo, paurosi entrambi, chissà, di rivedere nel viso dell'altro il marchio vergognoso che ci illudevamo fosse stato lavato via.

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04 maggio 2008

Curiosità storiche

La ginocchiata sul muscolo della coscia, meglio nota come fagiolo, apparve -secondo un'interpretazione consolidata degli storici- nell'Alto Medioevo, all'interno della classe sacerdotale della popolazione baltica dei Borussi (o Prussi o Prussiani); utilizzata dapprima durante la liturgia dei sacrifici di bestiame minuto a Ristokallaste, dio dell'agilità e della pulizia, si diffuse ben presto al di fuori dell'ambito religioso, fino a diventare un segno distintivo della popolazione baltica nei rapporti con le altre tribù della zona e con i coloni slavi e tedeschi. E' curioso notare che, sempre tra i Borussi, nacque anche la variante del fagiolo detta vecchietta, mirante a far cedere le gambe di un malcapitato, colpendolo per gioco da dietro all'interno della giuntura del ginocchio; altri storici, sulla base della polacca Cronaca di Re Boleslao il Triste e delle sue infinite traversie culminate in una morte tragica ma ridicola mentre cacava su un lago ghiacciato che non resse purtroppo al calore delle sue regali feci, databile intorno all'anno Mille, e degli Annales de summe infantilibus fastidiosisque populis Samogitiae, redatti dal frate tedesco Wilprando due secoli dopo, reputano assai probabile che ancora i Borussi siano stati i precursori della costumanza di rispondere al proprio interlocutore ripetendo la domanda appena formulata da quest'ultimo, nonché di altre trovate del genere. Così ci descrive Wilprando l'incontro tra un Cavaliere Portaspada e un capovillaggio borusso.
Portaspada-Ave, o valoroso pagano.
Capovillaggio-Ave, o valoroso pagano.
PS-Ma io veramente porto a voi la verità della Sacra Chiesa Cattolica.
CV-Ma io veramente porto a voi la verità della Sacra Chiesa Cattolica.
PS-Cosa? Siete già convertiti? E ora con che pretesto vi ammazziamo?
CV-Cosa? Siete già convertiti? E ora con che pretesto vi ammazziamo?
PS (mangia la foglia)-Mh...
CV-Mh...
PS-Non si scherza con un rappresentante della maestà divina in terra: per chi osa, c'è l'inferno!
CV-Non si scherza con un rappresentante della maestà divina in terra: per chi osa, c'è l'inferno!
PS-Dai, su, cerchiamo di mostrarci maturi...
CV-Dai, su, cerchiamo di mostrarci maturi...
PS (esitante)-Culo.
CV-Culo.
PS-Se il re di Polonia e granduca di Lituania si deredipolonigranducadilituanizzasse, vi deredipolonigranducadilituanizzareste pure voi?
CV-Se il re di Polonia e granduca di Lituania si deredipolonigranducadilituanizzasse, vi deredipolonigranducadilituanizzareste pure voi?
PS-Di notte chiusi su in mansarda a far su erba fino all'alba.
CV-Di notte chiusi su in mansarda a far su erba fino all'alba.
PS-Mh...
CV-Mh...
PS-Sono un finocchio baltico e mi piace ciucciare le palle dei miei vicini di casa, al termine di una dura giornata di lavoro.
CV-Ah, l'hanno ammesso: i Portaspada sono finocchi! Avete sentito tutti?
IL VILLAGGIO (anche con lancio di palle di ghiaccio, torba e mattoni)-Gide via, finocchi! O froci! O zéngheri crucchi e terroni!
PS (fa per andarsene)-Domani torniamo con le catapulte.
CV-Ehi, Portaspada, torna qui: è finito il tempo del gioco, ed è il momento di pensare alla salvezza della nostra stirpe e della nostra anima.
PS-Oh, vedo che vi siete fatti assennati.
CV-Certo, siamo un popolo serio e rispettabile, noi Borussi. Anzi, nobile Portaspada, clacamandis sa Pitonis?
PS-Eh?
IL VILLAGGIO-Stocazzo!
PS-Molte catapulte.
In seguito, la simpatia dei Borussi procacciò loro lo sterminio totale.

***

Il cosiddetto atteggiamento gangsta è attestato per la prima volta in una tavoletta ritrovata presso l'antica città sumera di Eridu, nel sud della Mesopotamia, e risalente al 2600 a.C. circa. Essa fu dapprima studiata dal Mommsen, il quale -senza dubbio a causa del condizionamento culturale della sua epoca in cui il gangsta rap non era ancora sufficientemente affermato- definì il testo cuneiforme come "una disgustosa congerie di smargiassate da gaglioffi e di vanterie da birreria"; oggi invece gli studiosi sono giunti a rivalutarlo, vedendolo come un'evidenza dell'inoltrarsi del cammino della civiltà sumera verso la maturità e l'idiozia.
La tavoletta recita così (cerchiamo per quanto possiamo di renderne lo stile, benché la radicale differenza tra l'italiano e una lingua agglutinante, ed accattivante dal punto di vista del ritmo, quale il sumero, renda il compito improbo): yo yo, qui Eannatum da Eridu/ con la mia crew/ devastiamo da Lagash a Ur/ porto la canalizzazione/ nella tua nazione/ b., senti come suona l'inizio della civilizzazione/ le mie puttane/ sono sacre/ le tue greggi/ sono magre/ ti prendo il fieno, faccio razzia/ ogni ziggurat è casa mia/ e se ne ho voglia fondo un'altra dinastia/ ti punto alla gola un'arma di bronzo/ povero stronzo/ tu giochi col rame/ ma sei un salame/ ti fotto la troia e poi il reame/ cadi per terra/ i tuoi schiavi mi pimpano il carro da guerra/ Eannatum mc/ ensì/ sempre qui/ anche i semiti conoscono il mio steez... Alza le mani se sei della casta sacerdotale! Alza le mani se sei della casta sacerdotale...
Come si vede, si tratta di un documento imprescindibile per lo studio dell'umanità tutta e della sua consapevolezza; non solo di quella mediorientale.

***

Nella prossima puntata: gli Ittiti e la scoperta della divagazione.

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