24 gennaio 2008

La grande migrazio' dei marchigia'

Ci fu un tempo, molte ere fa, in cui la scarsità del personale delle Ferrovie dello Stato fece sì che dopo Foligno si dovessero serrare due vagoni del regionale diretto ad Ancona; sicché i marchigiani, le cui leggende e favole non nominavano altri luoghi in cui i loro più antichi e reconditi progenitori avessero mai posto le proprie dimore, e che erano dunque propensi a credere di esser stati creati insieme a quelle vetture e di abitarle a pieno diritto da sempre, furono costretti ad alzarsi in piedi e spostarsi verso le carrozze successive, superando insidie e difficoltà di ogni genere.
Ci dicono i canti che ancora oggi i rapsodi intonano nel mezzo di ogni circolo di marchigiani, quando il sole è tramontato e il vino forte ne ha addolcito le membra e predisposto all'ascolto le orecchie, che l'infinita teoria di donne e uomini e carriaggi si addentrò per miglia e miglia nel ventre del mostro d'acciaio, la cui difficoltosa digestione dei chilometri di terra divorati produceva un orribile rumore di mascelle; e che molti dubitarono a più riprese di giungere mai ad un posto a sedere, alle proprie case calde e lontane, all'abbraccio confortante dei propri cari. I poeti conservano e ripetono il nome di mille eroi che aprirono le porte a quella fiumana sfiduciata, ne sollevarono le valigie, affrontarono le schiere infinite (ma solo fino a Foligno; poi, drasticamente ridotte) di orchi e troll dai pantaloni verdi. Di simili mostri ugualmente ci tramandano e descrivono quei poeti, mentre le fiamme dei bivacchi silenziosi -intenti solo ad ascoltarli- illuminano di vampe il loro viso e la loro guzla, il muso ottuso contornato di ricci etruschi e la parlata umbra, grottesca caricatura di un umano discorrere, che era il linguaggio bestiale di quelle orde.
Al termine di tanti eroici sforzi e alla fine dei versi accorati degli aedi, i marchigiani furono accolti dagli orizzonti sconosciuti ma pacifici di un paio di vagoni più in là e poterono riposare i loro corpi sulla plastica azzurra dei sedili di Trenitalia; qui ricostruirono migliori le loro istituzioni e plasmarono una nuova epoca d'oro, negli scompartimenti divisi da rivi di latte e miele, alle cui sponde si accostavano insieme il leone e l'agnello, lo jesino e l'anconetano, senza che mai una lite venisse a turbare quella gioia e quell'idillio.
Questo è quanto dice la leggenda e io non so davvero in che misura prestarvi fede; so solo che infine le porte si spalancarono davanti ai miei occhi stanchi e, anche se era buio, io sapevo che in quella notte dormiva la bellezza della mia terra.

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