04 giugno 2007

I vegetariani devono stare zitti

(Dal nostro inviato Lukas Sterlini)
CUNEO-I modi sono quelli sobri ed educati della piccola borghesia produttiva; nessuno fa mercato del proprio dolore, in questo salotto arredato con una semplicità che non indulge al kitsch, tuttavia la famiglia Ortis non può certo nascondere il dramma che ne ha sconvolto la vita. Massimiliano avrebbe compiuto ventun anni il prossimo giugno; la mamma aveva già comprato per lui, con un’impazienza affettuosa che avrebbe fatto sorridere e che ora si rivela tragica, un maglioncino blu. “Ora lo daremo ai poveri della Parrocchia”, dice piano, ma con voce ferma, il capofamiglia Franco. “Nostro figlio non ha più bisogno di vestiti buoni”. La moglie Miriana annuisce soltanto; ma non smette di stropicciare tra le mani il regalo che suo figlio non vedrà.
Franco è uno spinacio. “Mio padre e mio nonno erano spinaci, al paese, su in montagna”, ci dice, e fa un gesto vago, verso la finestra dietro cui incombono i picchi blu delle Alpi, “sa com’era a quei tempi… Lo sono diventato anch’io, appena ne ho avuto l’età, quasi senza rendermene conto. Del resto non ho mai chiesto nient’altro alla mia vita. Ho avuto un mestiere, una famiglia, una serenità… Adesso non so cosa resterà. Da qualcosa dovremo ripartire”. Le mani grandi e callose non gesticolano; restano ferme a mezz’aria, con i gomiti appoggiati alle cosce, e sembrano quasi prive di vita. Per un istante, Franco guarda nel vuoto, e chissà cosa vede. Poi si riscuote e stringe la mano della sua donna, con forza e tenerezza. Ci sentiamo fuori luogo, quasi non riusciamo a fare quello che pure è il nostro mestiere e il nostro dovere; la dignità di questa famiglia ci disarma. Questa è l’Italia viva e morale che diamo spesso per scomparsa. Dispiace davvero che sia un fatto di cronaca così efferato a rivelarne di nuovo l’esistenza.
Viene in aiuto al nostro disagio l’altro figlio. Si chiama Morgan, porta nel nome l’esotismo ingenuo della provincia profonda; ma conserva intere nelle maniere e nello sguardo la solidità e la dirittura dei suoi maggiori. Ci racconta del fratello, mostrandoci le foto dei momenti felici e di quelli importanti, la maglia a quarti rossoblù con cui il venerdì giocava a calcetto con gli amici, la camera con due letti in cui sono cresciuti assieme. Non c’è nessuna ragazza a disperarsi per la perdita di quel giovane virgulto. “Massimiliano era uno spinacio all’antica, per certi aspetti. Studiava molto, sa com’è, e almeno con le donne non desiderava ancora impegnarsi. D’altra parte, è meglio così. Almeno siamo in meno a piangerlo”. Domandiamo a Morgan se ha visto le foto del corpo straziato del fratello. “Sì”, risponde con tono cupo e volto impenetrabile, “i poliziotti mi avevano detto che erano foto piuttosto crude, ma volevo sapere quello che avevano fatto a mio fratello. Era vivo quando l’hanno messo a bollire, lo sa?”. Quest’ultima frase la pronuncia a voce improvvisamente alta e nervosa. La madre, sempre seduta, non può trattenere un nuovo attacco di pianto. Il padre lancia un’occhiata di fuoco all’unico figlio rimasto. Anche nel dolore, non è permesso il risentimento cieco, non è concessa la mancanza di misura. Morgan guarda fuori della finestra, con i pugni stretti in tasca.
Il colpevole è già stato rintracciato dalla polizia ed ha confessato immediatamente. Ha chiesto quando potrà tornare a casa, non si rende ancora conto della gravità del suo misfatto. Ha incontrato Massimiliano l’altro giorno, al supermercato, erano al banco dei surgelati. Non ha avuto nessuna remora a mettere in atto il suo piano criminoso, né ha fatto nulla per nascondere le prove. Quando gli agenti della Mobile di Genova hanno fatto irruzione nella casa dell’orrore, la padella in cui lo spinacio aveva subito l’estremo insulto non era stata neanche pulita. Un collega genovese era sul posto al momento dell’arresto: è riuscito a fare un paio di domande al sorpresissimo criminale. Questi si è accarezzato i dreadlock e ha detto che non gli risultava neanche che gli spinaci soffrissero.
Se fosse stato qui, in questa villetta costruita con le proprie mani dal capofamiglia, desideroso di lasciare una casa (il bene stabile per eccellenza; il bene supremo, nella provincia sana) ai suoi due figli maschi, avrebbe capito la verità: è menzogna sostenere che essi non soffrano. Lo fanno in silenzio, ma lo fanno. Forse, allora, si può suppore con amarezza che viviamo in tempi tali che l’integrità e la rettezza d’animo divengono una condanna a morte.

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