01 dicembre 2006

Io, Chiara e lo scuro

Era un martedì come tanti altri a Roma, città che, per chi non lo sapesse, si trova nel Lazio e nel tempo libero funge anche da capitale d'Italia. Ero in giro con la mia amica Chiara, che è riccia riccia e davvero molto carina. Davanti Montecitorio dei gruppi di paranoici distribuivano volantini di denuncia contro la tortura invisibile; dall'altra parte della piazza alcuni stringevano la mano ai deputati dell'UDC, complimentandosi per la loro dirittura morale. Insomma, le solite stravaganze di una grande città che però ci sorprendono sempre, noi poveri provinciali. A Piazza Navona stavano iniziando a montare le bancarelle del mercatino, le quali, a dimostrazione dell'esattezza delle tesi di Giovan Battista Vico, ogni anno fanno più schifo*. Non ci resta che aspettare che un anno vendano direttamente merda fumante e poi si ricomincia da un mercatino passabile, per via che tornano gli dei e non permettono ai bancarellari di vendere cazzate. In più la fontana dei fiumi era pure sbarrata e in restauro. Pare che stiano aggiungendo la Dora Riparia, in calcestruzzo e guano. Così ci siamo seduti di fronte all'ambasciata del Brasile (tra l'altro prossimamente scriverò un post sulla bandiera del Brasile e le maglie delle sue squadre di calcio; oppure non lo farò, dipende anche dall'allineamento dei pianeti) ed abbiamo guardato uno/a che entrava; con un culo dell'apparenza del marmo e possenti polpacci, stretti in abiti strizzati che facevano supporre una tale consistenza anche sul davanti. Dopo la necessaria sosta in Campo dei Fiori a rendere omaggio a Bruno Giordano e al suo ottimo inizio di campionato con il Messina, ci siamo buttati nei vicoli e siamo usciti dalle parti di Torre Argentina. Lì un uomo scuro come un cioccolato finissimo ci ha fermati con gentilezza e mi ha messo in mano un elefante, che, com'è noto, porta fortuna se esposto con la proboscide verso la luce che entra dalle finestre. Io non avevo dove metterlo e l'ho riposto in una tasca del giubbino (un Lonsdale amaranto di cui già vi parlai). Il tipo ha detto che eravamo una bellacòppia e ci ha fatto mille complimenti. Io leggevo il libretto sulla cucina senegalese che l'uomo (aveva dei peli bianchi sul mento, come se ci avessero spolverato del cocco) voleva vendermi**; la ragazza diveniva sempre più rossa e in imbarazzo, mentre lui ci prendeva gusto a darci duemila consigli, tanto cortesi quanto non richiesti, su una situazione che non conosceva affatto. Gli ho dato qualche euro in più di quello che costavano i libretti che ho preso. Lui ha detto a lei che doveva sposarmi. L'ho salutato come si saluta un senegalese, a suo dire figlio di un marabù. Quei libricini di cucina africana sono molto interessanti, compratene ai vostri cari per Natale.

Ovviamente il giubbino che conteneva il leggerissimo e fragilissimo elefante è cascato dall'attaccapanni quasi immantinente: l'elefante si è rotto una gamba. La lunghissima proboscide è rimasta stranamente integra.

*Rimarchevoli in particolare gli spacciatori di dolciumi colorati, in specie di quei grossi lecca lecca ad infiniti cerchi concentrici, del colore che contraddistingue i più mortiferi tra tutti i gechi colorati della foresta pluviale. La circostanza che ogni cerchio rappresenti una festa del patrono di Fondi (LT), San Luperio vergine, indica al di là di ogni ragionevole dubbio la loro venerabile età.
**Ricorre spesso il baccalà nella cucina senegalese. Non l'avrei mai pensato.

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